Cipro

La ricerca archeologica a Garrison’s Camp, Nea Paphos (Cipro)

 

 

Direttore: Filippo Giudice

Enti coinvolti: Università di Catania.

Numero approssimativo di studenti/studiosi coinvolti: 10/20

Anno di inizio della missione: 1988

Breve introduzione al sito/progetto: L’area assegnata alla missione italiana a Nea-Paphos copre un quarto del sito. Gli scavi condotti hanno finora messo in luce un santuario ipogeico ellenistico, su cui si è impiantata una basilica paleocristiana databile al IV d.C.

In collegamento con la piccola basilica è possibile documentare una risistemazione di tutta l’area dalla fine del IV agli inizi del V sec. d.C fino al momento dei raid arabi della metà del VII sec. d.C.

Descrizione dettagliata del progetto: L’area assegnata alla missione archeologica dell’Università di Catania, sulla base di un accordo tra la Repubblica di Cipro e quella d’Italia, copre un quarto di Nea Paphos, una delle più grandi città dell’Oriente ellenistico-romano, che per lungo tempo fu anche capitale dell’isola. Nel luglio 1988 la missione condotta da chi scrive e composta da elementi provenienti dall’Università di Catania, e nei primi anni anche dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene, ha iniziato uno scavo nell’area del cosiddetto “Garrison’s Camp”, nella parte Nord-occidentale della città. Essa era già stata parzialmente esplorata nei decenni passati, rivelando un notevole complesso di camere sotterranee scavate nella roccia riferite al culto di Apollo sulla base della rassomiglianza di due di esse con quelle del santuario di Apollo Hylates, scoperto nella parte Sud-orientale del villaggio di Kato Paphos. In realtà fino a quel momento non esisteva alcuna evidence per riferire il monumento ad una particolare divinità piuttosto che ad un’altra, anche se appariva evidente il carattere misterico.
Il complesso, al momento dello scavo, presentava ad Est un lungo corridoio di accesso di cui erano visibili alcuni blocchi emergenti sul piano di campagna, una scala di accesso semicoperta dalla terra, quello che allora appariva una sorta di vestibolo, e, verso Sud, una prima camera circolare, un lungo corridoio (“A”) ed altri tre ambienti aperti nella parte meridionale dello stesso: uno semicircolare, un secondo circolare, un terzo quadrangolare.
Ad esso era possibile accedere anche da un secondo ingresso opposto al primo, sulla cui parete settentrionale si apre un’esedra e a cui segue, più ad Est, l’accesso ad un secondo complesso costituito da un secondo corridoio (“B”) e da altre tre camere oggi parzialmente interrate. Resti, infine, di un edificio absidato erano visibili ad Occidente dell’area presa in esame.
Lo svuotamento delle camere operato intorno agli anni cinquanta, e di cui purtroppo non esiste alcuna documentazione scritta, ha consigliato di iniziare i nuovi scavi nella larga spianata ad Est delle camere ipogeiche, e, successivamente, ad Ovest delle stesse, anche se purtroppo la stratigrafia appariva vistosamente sconvolta da buche qui in quell’epoca scavate.
Punto di partenza delle nostre indagini è stato il saggio di Kiriakos Nikolaou, The topography of Nea Paphos. Lo studioso, a proposito degli ambienti ipogeici, così si esprimeva: “Le camere così sistemate possono identificarsi con un quartiere di soldati. Il fatto che il sito sia vicino alla porta Nord delle mura urbiche può suggerire che questo complesso sia un campo militare dove la guarnigione della città o parte di essa era alloggiata”. E per dare peso alla sua ipotesi fa riferimento ad una generale discussione sui “Garrisons” in epoca ellenistica in cui cita anche un’iscrizione frammentaria di petizione indirizzata a Tolomeo VI od VIII da talune truppe stanziate a Nea Paphos. Sulla base di questa ipotesi K. Nicolau aggiunge: “È molto probabile che le camere sotterranee rimasero in uso come un santuario attaccato al campo, ed è possibile che durante il periodo ellenistico qualche dio egizio, come Isis o Serapis fu introdotto; o, durante il periodo romano, una divinità quale Mitra”. Egli quindi conclude: “Ulteriori indagini del sito potranno chiarirlo, ma sui dati presenti è possibile ipotizzare che esso fu un campo militare dove truppe della guarnigione della città erano allocate”.
Jolanta Mlinarczik, nel volume Nea Paphos III, pubblicato ancora agli inizi dei nostri scavi, già avanzava dubbi sull’ipotesi di Nicolaou: “Ma persino non badando al discutibile punto della localizzazione, l’intero complesso di Toumballos è troppo esteso e ben progettato per essere stato il santuario di una guarnigione militare”. E conclude la studiosa: “che il santuario di Toumballos si trovi al margine della città, lontano dai quartieri più attivi, non dovrebbe essere considerata prova dei suoi supposti legami con caserme militari, come ipotizzato da Nikolaou, ma piuttosto ancora più una testimonianza della natura ctonia del culto accompagnata da misteri”.
Lo scavo della missione italiana, a partire dal 1988, ha rinunciato ad esprimere opinioni premature sulla natura del complesso di camere ormai svuotate del loro contenuto ed ha preferito piuttosto indagare sulle emergenze visibili intorno al santuario, per ricavare da queste quegli elementi che potessero servire, in un secondo momento, ad una valutazione dell’intero complesso.
A questa logica ha ubbidito, da una parte, lo scavo nell’area ad Est della scala di accesso al santuario ipogeico, e dall’altra, ad Ovest, delle camere ormai a vista.
In particolare, ad Est, in direzione della scala che portava alle camere ipogeiche, emergevano alcuni blocchi squadrati di calcare. Le indagini condotte in quest’area, hanno messo in luce un lunghissimo dromos di accesso al santuario, che ha superato i 72 metri di lunghezza fino raggiungere un costone roccioso dentro il quale sprofonda in camere che la nostra missione ha per la prima volta messi in luce (da esse sta venendo fuori una notevole quantità di materiale del periodo della fondazione), per uscirne in direzione Nord-Sud. Di esso, appare conservato in tutta la sua lunghezza il muro settentrionale, il quale in alcuni punti mostra un bel poligonale, ed, in altri, dei rifacimenti successivi in cui appaiono riutilizzati grossi blocchi quadrangolari. Del muro meridionale del dromos sono superstiti soltanto due blocchi subito ad Est del primo gradino della scala di accesso al santuario, mentre la rimanente parte è stata completamente smontata e riutilizzata per la costruzione di un popoloso quartiere che si è appoggiato al muro settentrionale del dromos, a partire dalla fine del IV sec. d.C., quando, chiusi i culti pagani, l’area fu risistemata a quartiere urbano in vicinanza, come vedremo, di una basilica che s’impiantò fondendosi con esso riutilizzando le strutture dell’edificio pagano.
Il santuario a chi oggi visita lo scavo, rivela un notevole complesso di camere sotterranee scavate nella roccia e, ad Est, un lungo dromos di accesso ed una scala che conduce agli ambienti e ai corridoi sotterranei.
Non lontano dalla scala di accesso al santuario sono venuti alla luce i resti di una copiosa stipe votiva, che ha restituito materiale databile tra il III ed il II secolo a.C.; significativamente, molti dei pezzi sono stati rinvenuti sul piano di calpestio dello stesso dromos, buttati lì probabilmente nel momento della rimozione del muro meridionale e della realizzazione del nuovo quartiere urbano, allorquando chiusi i culti pagani, si edificò una basilica paleocristiana sulle strutture del santuario subito ad Ovest delle camere ipogeiche, e comunque al di qua del peribolo che racchiudeva le strutture santuariali.
Il nuovo edificio di culto, oggetto di accurate indagini, sta acquistando man mano la fisionomia di un martyrium paleocristiano.
Indagini condotte sotto le fondazioni del muro settentrionale della navata centrale hanno, innanzitutto, consentito di datare l’edificio, nella sua prima fase, alla fine del IV secolo d.C.
Esso presenta un’icnografia inconsueta e piuttosto rara: al doppio nartece ed alla navata centrale seguono, in pendant, due absidi (una interna ed una esterna) entrambe innestate sui muri della navata. L’ampio spazio, delimitato da esse, dà accesso ad una cripta formata, nelle pareti orientale ed occidentale, dai due bracci rocciosi di uno dei corridoi del santuario pagano e, nella parete di fondo, da un muro appositamente innalzato realizzandosi in questo modo una simbiosi perfetta tra il santuario pagano e la piccola basilica paleocristiana.
A Sud dell’esonartece corre un piccolo corridoio, chiuso ad Ovest che dal peribolo del santuario pagano realizzato nella roccia, ha impedito all’edificio cristiano di espandersi in questa direzione.
In realtà, la sovrapposizione dell’edificio di culto cristiano sul santuario pagano ha determinato delle singolarità nella pianta, che è possibile attribuire alla volontà di riutilizzare, per quello che era possibile, le antiche strutture. A parte il fatto che la presenza del peribolo in roccia ad Ovest ha consentito soltanto uno sviluppo orizzontale Nord-Sud, il semicerchio settentrionale dell’abside interna, i cui blocchi sono stati asportati in antico, ma di cui rimangono tracce “sagomate” di malta, fu poggiato sulla superficie superiore di due grandi vasche rettangolari, che dovevano essere adibite a vasche per le esigenze idriche del santuario. La presenza delle vasche ha determinato uno sviluppo singolare dell’ala settentrionale dell’edificio cristiano: a Nord della navata centrale sono stati isolati, infatti, due piccoli ambienti; il primo ad Est, è adagiato al livello dello spianamento roccioso; tutt’attorno, precedenti interventi nell’area, intorno agli anni 50’/60’, hanno purtroppo distrutto le connessioni con la stessa navata centrale e con le grandi vasche del santuario pagano; il secondo, ad Ovest, sostiene una piccola scala, i cui gradini parzialmente conservati portano ad un altro grande ambiente rettangolare sistemato ad un livello superiore rispetto alla navata centrale. Di questo, finora solo parzialmente scavato, si è conservato il letto pavimentale; esso trova la conclusione ad Est, in una piccola abside scavata nella roccia, che presenta uno scasso centrale ad U, e che appare in asse -fatto molto significativo- con una tomba anch’essa scavata nello stesso costone roccioso, raggiungibile tuttavia dall’esterno, dalla scala di accesso al santuario pagano.
Inesplorata resta ancora la chiusura del lato settentrionale dell’edificio cristiano e, finora ignoto il rapporto del piano dell’ambiente absidato con un’esedra del santuario pagano, realizzata al livello del piano roccioso, e con altre camere dello stesso che si aprono subito ad Ovest dell’esedra.
Decisivo per la ricostruzione del culto cristiano nel IV-V sec. d.C. è stato lo scavo della cripta, dove, attorno ad una piccola struttura quadrangolare piena di terra bruciata, una serie di vasi sembrano comporre un “servizio”: sono stati raccolti una lucerna, una ciotola, un boccale, un’anfora, purtroppo frammentaria, che conserva il collo a cui è attaccata una sola delle due anse: all’interno di questo, in mezzo alla terra, è venuto fuori un pezzo di stoffa molto rozza ed un piccolo frammento osseo di spina di pesce.
L’eccezionale scoperta ha messo in moto una serie di suggestive ipotesi collegate al momento della cristianizzazione di Cipro ed in particolare al momento in cui doveva essere vivo, a Paphos, il ricordo di Ilarione, il santo che lì predicò e morì sullo scorcio del IV secolo d.C. Manca finora un’evidenza epigrafica completa (si è trovata finora un’epigrafe in marmo in cui si legge ΙΩΝ, se non forse PIΩN, che consenta di identificare il tempio di Apollo a Toumballos con quello dove predicava il santo monaco. Certo è che il primo impianto della piccola basilica, costruita con e sui muri dell’edificio pagano, si può datare negli anni immediatamente successivi alla morte dell’anacoreta, il quale prima fu seppellito e, successivamente, riesumato dai discepoli e traslato a Gaza.
La piccola basilica rappresenta con ogni probabilità, la “Memoria” legata alla vita ed ai miracoli del santo, ed il servizio da mensa, collocato nella cripta nel VI secolo d.C., lo sarebbe stato a ricordo dello stesso.
Indagini topografiche, fondate sulla testimonianza di San Girolamo, che pone in secondo ab urbe miliario la prima residenza di Ilarione, il quale predicava “vicino alle rovine di un tempio antichissimo”, e collocava a dodici miglia dal mare la seconda residenza, hanno consentito di avanzare l’ipotesi che proprio il santuario ipogeico di “Garrison’s Camp” doveva essere quello della “evangelizzazione”; e che la grotta di Episcopi, sulle colline di Paphos, indicata dalla tradizione locale come quella di S. Ilarione, sia il luogo dove il santo, a causa dell’affollamento dei pellegrini, e per consiglio del fedele Esichio, si spostò.
In realtà viene lentamente maturando la convinzione che il sito di Garrisson’s Camp, lungi dall’essere un quartiere periferico della città di Paphos, fosse quello dei grandi santuari ipogeici pagani (un altro santuario ipogeico si intravede più ad Ovest del nostro, segnalato da grossi verdi cespugli di macchia mediterranea che spiccano nel brullo dell’area circostante): e proprio in quel luogo forte dovette essere la lotta tra i pagani e la nuova religione nascente. Non senza emozione, difatti, nella campagna del 1999 è venuta alla luce un’epigrafe marmorea in due righe in cui è possibile leggere “lou osto”: se l’integrazione in [PAY]LOY [AP]OSTO[LOY] è corretta avremmo la prima testimonianza archeologica della presenza dell’apostolo a Cipro, finora attestata solo dagli Atti degli Apostoli, i quali ricordano che il santo, arrivato sull’isola, convertì il proconsole romano Sergio Paolo, e che in suo onore cambiò il nome da Saulo in Paulo.
In collegamento con la piccola basilica è possibile documentare una risistemazione di tutta l’area del santuario dalla fine IV/inizi del V sec. d.C fino al momento dei raid arabi della metà del VII sec. d.C.: sulla faccia interna del muro settentrionale del dromos di accesso allo stesso viene addossata, infatti, una serie di ambienti, alcuni dei quali decorati a mosaico.
La futura indagine chiarirà se qui non si addensi da questo momento in poi, il quartiere “cristiano”, in contrapposizione a quello “pagano”, dell’area sud-occidentale della città, in cui si ammirano le coeve, grandi dimore patrizie con le suggestive immagini di Aion, di Teseo che uccide il Minotauro, di Orfeo, della nascita di Achille e del trionfo di Dioniso.
L’esplorazione, ancora, dell’area a Nord del santuario ipogeico comincia a dare risultati abbastanza promettenti. Alcuni saggi ai bordi di un’ampia depressione a forma grosso modo ovoidale, a Nord del dromos di accesso alle camere ipogeiche, ha permesso di mettere parzialmente in luce una sorta di xystos, un piccolo stadio per allenamento.
Esso era probabilmente preceduto, a Nord, nell’area a ridosso delle mura urbiche che chiudono da questa parte la città, da stoai, come farebbero pensare alcuni blocchi allineati in senso Est-Ovest e Nord-Sud.
Se le esplorazioni delle prossime campagne dovessero confermare tale supposizione, Garrison’s Camp, ritenuto finora area destinata ad accogliere guarnigioni militari, potrebbe assumere ben altra dimensione, per la presenza di grandi santuari e di attrezzature sportive ad essi collegate.
Sfugge purtroppo, finora, il culto praticato a Toumballos; esso è stato riferito ad Apollo sulla base della rassomiglianza delle camere ipogeiche con quelle del santuario di Apollo Hylates, scoperto nella parte orientale di Kato Paphos. Non sembra tuttavia senza significato il rinvenimento di un piccolo frammento a vernice nera in cui è possibile leggere ολλ o il rinvenimento, ancora più significativo, di un frammento di vaso attico a figure rosse in cui è chiaramente discernibile Artemide con la faretra dietro le spalle ed un kanoun in mano. Non sfugge in ogni caso il carattere misterico del culto. Le buie camere sotterranee rischiarate soltanto da stretti lucernai praticati al centro del soffitto, dovevano essere illuminate dalle torce degli iniziati che nei corridoi ipogeici concludevano la lunga processione iniziata all’ingresso del lunghissimo dromos di accesso.
A partire dalla fine del XII e degli inizi del XIII secolo d.C. l’area attorno al santuario ed alla piccola basilica, certamente abbandonata e resa deserta dalle incursioni arabe del VII sec. d.C., registra tracce di vita, come confermerebbero alcuni ambienti che si addossano da una parte e dall’altra al muro settentrionale del dromos. Esplorazioni, d’altra parte, sulla collina soprastante il santuario hanno messo in luce i resti di ambienti di epoca medievale (torretta di avvistamento?).
Particolarmente proficuo si è rilevato lo scavo di uno di questi, al centro del quale è stato rinvenuto un pilastro in blocchi chiaramente precipitato in seguito ad un evento traumatico, molto probabilmente sismico, che ha “sigillato” una grande massa di ceramica medievale e tardo medievale: il rinvenimento di monete veneziane del doge Gerolamo Priuli (1559-1567) ha consentito di datare tale evento nel XVI secolo d.C.
Gli scavi della missione italiana a Paphos, quindi, stanno gettando luce sulla vita e sugli esiti del santuario pagano per ben circa un millennio, dalla seconda metà del IV secolo a.C. fino al momento dei raids arabi. Se la lettura di San Girolamo da me proposta coglie nel vero, l’area del cosiddetto “Garrison’s Camp” riceve nuova luce, nella misura in cui essa si rivela come il punto dove i cristiani predicavano e propagandavano la nuova fede: un luogo quindi dove fortemente era radicata la fede pagana, e da dove doveva propagarsi, se voleva aver successo, la fede cristiana. Era certamente quello il luogo dei grandi santuari dove la folla si riuniva per celebrare gli antichi riti pagani e dove i Santi, a partire da San Paolo, predicavano il nuovo verbo divino e scacciavano i demoni. Ancora la Vita Ilarionis di San Girolamo ci aiuta a focalizzare questo momento cruciale del passaggio dall’antica alla nuova religione. Un suggestivo parallelo possiamo trovarlo nell’arrivo di San Ilarione ad Elusa sulla via per il deserto di Gades (Vita 16,1), proprio nel giorno in cui le celebrazioni annuali avevano raccolto nel tempio di Venere tutta la popolazione della città. Ebbene gli abitanti di Elusa, colpiti dalla fama della sua santità “non lo lasciarono partire prima che tracciasse il contorno della chiesa che sarebbe dovuta sorgere (“non prius abire passi sunt quam futurae ecclesiae limitem mitteret”). Ad Elusa (nella vicina Siria), come a Paphos, il nuovo edificio sarebbe sorto per “ricordare” il passaggio ed i miracoli del santo.
Da questo momento in poi, credo, se abbiamo colto nel vero, dovremo chiamare la località da noi indagata non più come “Garrison’s Camp”, ma “l’area dei grandi Santuari”.
Ci auguriamo, pertanto, che queste suggestive ipotesi possano essere confermate dalla prosecuzione dello scavo che celebra quest’anno la venticinquesima campagna.

Bibliografia: 

Nikolaou K., The topography of Nea Paphos, in Mélanges Offerts à Kl Michalowski, M.-L. Bernhard, Varsavia, 1966, pp. 561-601.
Mlinarczik J., Nea Paphos in the Hellenistic Period, in "Nea Paphos III (Polish Excavations)", Éditions Géologiques, Varsavia, 1990 pp. 177-184.
Giudice F., et Al., 1992. Paphos, Garrison’s Camp, campagna 1988. RDAC 1992, pp. 205–50.
Giudice F. et Al., 1993. Paphos, Garrison’s Camp. Campagna 1989. RDAC 1993, pp. 279–327.
Giudice F. et Al., 1994. Paphos, Garrison’s Camp. Campagna 1990. RDAC 1994, pp. 215–68.
Giudice F. et Al., 1996. Paphos, Garrison’s Camp. Campagna 1991. RDAC 1996, pp. 171–267.
Giudice F. et Al., 1998. Paphos, Garrison’s Camp. Va campagna, 1992. RDAC 1998, pp. 187–204.
Giudice F. e G. et Al., 1999. Paphos, Garrison’s Camp. VIa campagna. RDAC 1999, pp. 279–313.
Giudice F., E. e G. et Al., 2000. Paphos, Garrison’s Camp. VIIa campagna. RDAC 2000, pp. 259–98.
Giudice, F., E. e G. (con la collaborazione di D. Malfitana) et Al., 2001. Paphos, Garrison’s Camp. VIIIa campagna. RDAC 2001, pp. 255–90.
Giudice, F., E. e G. (con la collaborazione di D. Malfitana) et Al., Paphos, Garrison’s Camp.
IXª campagna. RDAC 2004, pp. 271–321.
Giudice, F., E. e G. (con la collaborazione di F. Muscolino e G. Sanfilippo Chiarello) et Al.,
2007. Paphos, Garrison’s Camp. Xª Campagna (1997). RDAC 2007, pp. 327–76.
Giudice, F., E. e G. (con la collaborazione di F. Muscolino e G. Sanfilippo Chiarello) et Al.,
2010. Paphos, Garrison’s Camp. Xª Campagna (1998). RDAC 2010, pp. 437–496.
Per le campagna successive (1999-2012) vedi le notizie preliminari pubblicate in Bulletin de Corrispondence Hellènique.

Disponibilità ad accogliere allievi in cantiere: Sì

 

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